“Il posto fisso è sacro”, recitava Checco Zalone nel film “Quo Vado”, ma nel 2023 è realmente così o questa tendenza sta riscontrando un brusco capovolgimento?

Da quanto emerge dai dati del 2022, ben 121.756 dipendenti a tempo indeterminato hanno optato per lasciare il proprio posto di lavoro, un aumento notevole del 9,7% rispetto all’anno precedente e addirittura del 24% rispetto al 2019. L’analisi dei settori maggiormente interessati da questa ondata di dimissioni rivela che il commercio e i servizi turistici sono stati i più colpiti, rappresentando il 33,8% del totale delle dimissioni, seguiti dal comparto manifatturiero, che ha registrato il 25% delle dimissioni totali.

Ma da dove emerge tutta questa voglia di cambiamento?

Le motivazioni sono diverse: in primis, troviamo le nuove opportunità offerte da un mercato del lavoro sempre più competitivo e ghiotto di attrarre nuovi talenti, dall’altro lavoratori ambiziosi che mirano sempre più a soddisfare il proprio desiderio di crescita professionale oltra a un miglioramento delle condizioni retributive, una migliore conciliazione tra lavoro e vita privata, la ricerca di nuovi stimoli e un miglior ambiente aziendale. In particolar modo i giovani pare che cerchino:

  • Al 39% un miglioramento retributivo che non si limiti semplicemente a salari più alti, ma includa anche migliori forme di assistenza e benefit
  • Al 30% un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata
  • Al 21% ritrovare la motivazione e nuovi stimoli
  • Al 20% mirano a un ambiente aziendale più positivo
  • Al 20% cercano prospettive di crescita e sviluppo professionale

“Mismatch” lato aziende: il 48% sono lavoratori introvabili!

Ci pone ad una seria riflessione l’analisi dei dati Unioncamere dell’Osservatorio Excelsior che fotografa invece l’attuale difficoltà di reperire personale: su 531mila assunzioni previste dalle imprese a settembre oltre 252mila sono considerate dagli stessi imprenditori difficili da realizzare.

Ci si sta scontrando con una imprevedibile dicotomia: da un lato la grande mobilità dei lavoratori, più esigenti, consapevoli dei propri diritti e alla ricerca del “posto giusto”, dall’altro le aziende che si trovano ad affrontare la mancanza di candidati per i profili che stanno cercando, soprattutto per una carenza di competenze.

Il mercato del lavoro necessità di maggiore flessibilità, lamentando un tasso di posti vacanti al 2,1 per cento sia per mansioni poco qualificate, sia per mansioni altamente qualificate. In molti casi, quello le imprese cercano e non trovano sono le competenze specifiche che rispondano alle vacancy, trovandosi di conseguenza ad assumere personale con un livello di professionalità inferiore rispetto a quello che sarebbe richiesto dai loro standard.

Chi cercano e (non trovano) le imprese

Nell’ultimo decennio la percentuale di personale di difficile reperimento per le imprese varesine è triplicata, arrivando al 46%, quota più elevata rispetto al contesto nazionale e lombardo (40,5% e 41%).

È chiaro che nel mondo del lavoro italiano c’è qualcosa che non va e la domanda e l’offerta hanno difficoltà ad incontrarsi, soprattutto in alcuni settori.

Uno strumento vincente per favorire attraction e retention nelle aziende resta quello di investire sulla formazione e, come cita Paolo Zangrillo, Ministro della Pubblica Amministrazione <<L’attrattività di un impiego non è fatta solo dalla stabilità del posto, che pur rappresenta un valore, ma dalla possibilità di offrire percorsi professionali di crescita, orientati alla valorizzazione del merito. Oggi quello che conta è disporre di un bagaglio di competenze, e di esperienze, che consenta a ciascuno di vivere il mercato del lavoro senza ansia>>.

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A cura di Laura Crespi, HR & Recruiter Specialist e Dott.ssa in Scienze Cognitive e Processi Decisionali

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